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27 marzo 2012

Un brano di Ivo Andrić - Dolce è per l'uomo ogni parola che dice...

"E' una notte di settembre calda e limpida. Quelli che preparano le marmellate di prugna cantano, gli altri, seduti attorno al fuoco, conversano sorseggiando caffè o rakija oppure fumando tabacco. Dolce è per l'uomo ogni parola che dice e cara gli è ogni cosa che il suo sguardo riesce a cogliere e le sue dita riescono a toccare. La vita non è facile né libera, né sicura, ma si può sempre sognare quanto si vuole, parlarne con saggezza e intelligenza, o anche scherzosamente."
 
Ivo Andrić, da "L'elefante del visir"

10 dicembre 2011

Mitakuye Oyasin, Ned Ellis!

Lacrimuccia, e nemmeno troppo metaforica, nel leggere l'ultima tavola delle storie di Ned Ellis, Magico Vento.
  
Mitakuye Oyasin!

Un grande ringraziamento a Gianfranco Manfredi, e tutti coloro che negli anni hanno contribuito a creare questo splendido fumetto.

6 agosto 2011

Libri per l'estate

Interrompendo brevemente la vergognosa pigrizia agostana del blogger, che preferisce campare di manfricoli e trattori aviglianesi, laghi pilateschi, mari e monti sparsi.
Libri per l'estate.
"La storia rovesciata", di Covino, Bitti e Venanzi. Si parte dal presupposto, sacrosanto, che a Terni c'è da anni un movimento culturale volto a "riscrivere" faziosamente la storia locale, che negli ultimissimi anni si è concentrato sul tentativo di delegittimare la storia della Brigata Garibaldina Antonio Gramsci, facendo passare una vulgata che la dipinge in pratica come una banda di assassini e criminali. Il libro in questione nasce appunto per rispondere a queste tesi, ribattendo punto per punto e ricostruendo il contesto generale in cui operarono i partigiani umbri. Interessante, specie su temi come la grande rappresaglia dell'aprile 1944, e molto ben documentato. Rimane però forse un po' troppo specialistico, preponderante l'aspetto meramente polemico, di risposta ai libri di Marcellini e a svariati articoli di giornale, e alla fine si è persa un'occasione per rispondere alla maggiore necessità storiografica sul tema, un testo che racconti in maniera accurata, completa e soprattutto fruibile la storia misconosciuta della Gramsci, che esca dalla triade memorialistica/studio accademico/libro sensazional-rovescista.
"La ragazza del secolo scorso", di Rossana Rossanda, del filone memorialistico degli ingraiani. Interessante, fa il paio con "Volevo la luna"di Ingrao, non al livello de "Il sarto di Ulm" di Magri. Una citazione: "I quali ci applaudirono con fervore. Niente appassiona di più una assemblea comunista che ascoltare una opposizione che ne esprimeva i sentimenti senza coinvolgerla ed era destinata a perdere, di modo che l'unità del gruppo dirigente era salva.". Genetico, si veda, 40 anni dopo, lo svolgimento dell'ultimo congresso DS, e le reazioni che nei congressi di sezione c'erano sulle tesi della seconda e terza mozione.

20 gennaio 2011

Hoka hey Ned Ellis!

E com'è che si imparò ad amare Magico Vento.
Grazie anche alla mediazione di altri Bonelli prima di lui, e alla Biblioteca delle Nuvole di Perugia.
Qualche mese fa l'autore, il poliedrico Gianfranco Manfredi, ha scelto, probabilmente più che a ragione, che negli ultimi tempi la serie aveva perso un po' la sua ragione d'essere, dopo la fine delle guerre indiane dei Sioux e la chiusura di diversi filoni narrativi (tra cui quella, abbastanza sconclusionata della fine di Hogan).
Comunque, Hoka hey Ned Ellis!

25 dicembre 2010

21.05.1944, Monte La Pelosa, sede del Comando della Brigata Garibaldina "Antonio Gramsci"


Cuore sereno, e tanti auguri a tutti, amici e compagni!

21.05.1944, Monte La Pelosa, sede del Comando della Brigata Garibaldina "Antonio Gramsci"
"I pochi presenti al Comando decidono di approfittare della bella giornata di maggio, per trascorrere qualche ora di riposo. Certamente quelli di servizio di guardia rimangono al loro posto per questi si provvederà domani che sono di riposo. A passare l'ordine ai partigiani ci pensa l'ufficiale di servizio con l'aiuto dei due piantoni.
Si consuma il rancio tutti insieme nella pratarina. Appena terminato di mangiare il partigiano La Bella, comincia a suonare la sua fisarmonica. Dante prende la vecchia chitarra e cerca di fare d'accompagno alla fisarmonica. I giovani partigiani cominciano a ballare ma con molta fatica poiché la sala improvvisata non ha pavimento asfaltato, ma poggia sulla terra più o meno battuta. Ballano pure le figliole del Comandante e la Gianna. In un secondo tempo ballano gli anziani: Pasquale, Gildo, Procoli, Bruno ecc. Il cuoco arriva con una damigianetta di vino e passa da bere a tutti. Il Comandante parla brevemente della situazione politica e militare del momento e chiude il suo dire con queste parole: « Compagni partigiani, dopo i numerosi nostri carissimi fratelli e compagni, fucilati dai tedeschi, dopo i 96 partigiani caduti prima del rastrellamento e i 54 caduti durante gli undici giorni di accerchiamento da parte delle due divisioni tedesche, qualcuno potrebbe obbiettare che non si dovrebbe ballare e stare allegri come tutti noi stiamo in questo momento. Tale giudizio potrebbe avere anche fondamento, ma la vita è la vita. A che varrebbe mettersi in lutto? Certamente a nulla. Noi - dice Pasquale -, siamo in dovere di vendicare i nostri caduti, ma ciò lo facciamo raddoppiando le nostre azioni di guerra contro i nazifascisti. La nostra parola d'ordine è sempre stata e lo sarà fino alla definitiva liberazione del nostro Paese: rendere impossibile la vita al nemico che sta calpestando la nostra cara Italia.»
A questo punto i presenti tutti a una voce gridano: « W l'Italia libera e indipendente!»
Pasquale riprende a parlare dicendo: « Qualche volta è necessario divertirsi pure per qualche ora. Ciò serve anche, specie ai giovani, per raddolcire l'animo. Non si possono passare i mesi e mesi a pensare al servizio di guardia e sparare con il mitra, la bomba o la mitragliatrice. Malgrado la fede che ci anima - afferma con forza il Comandante -, malgrado la giustezza della nostra lotta armata, in quanto mira non soltanto a ridonare la libertà al popolo e l'indipendenza alla nazione, ma anche ad accelerare la fine della guerra, con il fermo proposito che di guerre non se debbono più fare, occorre se pure per poche ore lo svago, il diversivo. Altrimenti si potrebbe cadere alla aberrazione. Divertitevi perciò cari compagni partigiani con l'istesso slancio di quando partite per le azioni di guerra.»
Alfredo Filipponi "Pasquale", comandante della Brigata Gramsci.
[da "Il diario di Alfredo Filipponi, comandante partigiano"]

5 novembre 2010

"Fratelli miei, non ci hanno vinti. Siamo ancora liberi di solcare il mare." Q, Luther Blisset


La confessione di Manelfi è bruciata. Gli uomini non sapranno mai che quelle poche pagine avrebbero potuto cambiare per sempre il corso degli eventi. I dettagli sfuggono, le ombre minori che hanno popolato la storia scivolano via dimenticate. Lenoni, piccoli chierici meschini, fuorilegge senzadio, sbirri, spie. Tombe anonime. Nomi che non dicono niente, ma che hanno incrociato le strategie, le guerre, le hanno fatte saltare, a volte con la testarda consapevolezza della lotta, altre volte per puro e semplice caso, con un gesto, una parola.
Sono stato tra questi. Dalla parte di chi ha sfidato l'ordine del mondo.
Sconfitta dopo sconfitta abbiamo saggiato la forza del piano. Abbiamo perso tutto ogni volta, per ostacolarne il cammino. A mani nude, senza altra scelta.
Passo in rassegna i volti a uno a uno, la piazza universale delle donne e degli uomini che porto con me verso un altro mondo. Un singulto squassa il petto, sputo fuori il groviglio.
Fratelli miei, non ci hanno vinti. Siamo ancora liberi di solcare il mare.
 
Dal finale di Q, il romanzo del collettivo Luther Blisset, successivamente noti come Wu Ming.
Gran libro Q, e grandi scrittori i Wu Ming.
Belle storie, soggetti interessantissimi (nella specie, un eretico che attraversa tutte le temperie dell'Europa scossa dalla Riforma Protestante, e il suo corrispettivo, l'inviato del Cardinale Carafa), e in più sono di sinistra, e i loro libri sono liberamente scaricabili e leggibili.


2 novembre 2010

I fratelli Grimm

Il bambino capriccioso

C'era una volta un bambino capriccioso che non faceva mai quello che voleva la mamma. Per questo il buon Dio ne era scontento e lo fece ammalare, tanto che nessun medico poté salvarlo e presto egli giacque sul letto di morte. Quando fu adagiato nella fossa e coperto di terra, d'un tratto spuntò fuori il suo braccino e si tese in alto; lo misero dentro e tornarono a coprirlo di terra fresca, ma era inutile: il braccino continuava a tornare fuori. Allora la madre stessa dovette andare alla tomba, e batterlo sul braccino con una verga; quando l'ebbe fatto il braccino si ritrasse e il bimbo ebbe finalmente pace sotto terra.

FINE

Fratelli Grimm bardasci cari. Che a quanto pare hanno molto di più da offrire di quanto generalmente si pensi.
A un primo frettoloso esame di qualche fiaba random, si hanno due sorelle invidiose che una si annega e l'altra si impicca, un bambino che dorme (stavolta pacifico) nel suo "lettino sotto terra", una storia in cui si l'antagonista è un ebreo, il quale alla fine, infame, viene impiccato (tanto per capire da dove esce fuori l'antisemitismo).

Ciò lo si è appreso in questi giorni, a Firenze.
Ci sono state cose pese (ascoltare, con il cuore che si sfragne, "Ma il cielo è sempre più blu" nel fatale Mandela Forum), cose belle (il Forum MGS, ossia la ragione per cui si era là), cose culturali.
Qui, more solito, si è deciso di privilegiare e soffermarsi sul culturale.

13 settembre 2010

I Ponti

"Di tutto ciò che l'uomo, spinto dal suo istinto vitale, costruisce ed erige, nulla è più bello e più prezioso per me dei ponti. I ponti sono più importanti delle case, più sacri perché più utili dei templi.
Appartengono a tutti e sono uguali per tutti, sempre costruiti sensatamente nel punto in cui si incrocia la maggior parte delle necessità umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni, mai asserviti al segreto o al malvagio.
I grandi ponti di pietra, grigi ed erosi dal vento e dalle piogge, spesso sgretolati nei loro angoli acuminati, testimoni delle epoche passate, in cui si viveva, si pensava e si costruiva in modo differente: nelle loro giunture e nelle loro invisibili fessure cresce l'erba sottile e gli uccelli fanno il nido.
I sottili ponti di ferro, tesi come filo da una sponda all'altra, che vibrano ed echeggiano con ogni treno che li percorre, come se aspettassero ancora la loro forma e perfezione finale. La bellezza delle loro linee si svelerà del tutto solo agli occhi dei nostri nipoti.
I ponti di legno all'entrata delle cittadine bosniache le cui travi traballano e risuonano sotto gli zoccoli dei cavalli, come le lamine di uno xilofono. E infine, quei minuscoli ponti sulle montagne, spesso solo un unico grande tronco ovale, massimo due, inchiodati uno accanto all'altro, gettati sopra qualche ruscello montano che senza di loro sarebbe invalicabile.
Due volte all'anno il torrente impetuoso ingrossandosi li trascina via e i contadini, con l'ostinazione cieca delle formiche, tagliano e segano e ne rimettono nuovi. Per questo, vicino ai ruscelli di montagna, nelle anse fra le pietre dilavate, spesso si vedono questi "ponti" precedenti: stanno lì abbandonati a marcire insieme all'altra legna arrivata per caso. Ma questi tronchi di alberi lavorati, condannati a bruciare o a marcire, si differenziano comunque dal resto e ricordano sempre l'obiettivo per il quale sono serviti.
Diventano tutti uno solo e tutti degni della nostra attenzione, perché indicano il posto in cui l'uomo ha incontrato l'ostacolo e non si è arrestato, lo ha superato e scavalcato come meglio ha potuto, secondo le sue concezioni, il suo gusto e le condizioni circostanti.
Quando penso ai ponti, mi vengono in mente non quelli che ho traversato più spesso, ma quelli su cui mi sono soffermato più a lungo, che hanno attirato la mia attenzione e fatto spiccare il volo alla mia fantasia.
I ponti di Sarajevo, prima di tutto. Sul fiume Miljacka, il cui letto è una sorta di sua spina dorsale, rappresentano vertebre di pietra. Li vedo e li posso contare uno a uno. Conosco le loro arcate, ricordo i loro parapetti. Fra di loro ce n'è anche uno che porta il nome fatale di un ragazzo, un ponte minuscolo ma eterno che sembra ritiratosi in se stesso, una piccola e accogliente fortezza che non conosce né resa né tradimento.
Poi i ponti visti nei viaggi, di notte, dai finestrini dei treni, sottili e bianchi come fantasmi. I ponti di pietra in Spagna, ricoperti dall'edera e come impensieriti della propria immagine riflessa nell'acqua scura. I ponti di legno in Svizzera, ricoperti da un tetto che li difende dalle abbondanti nevicate, assomigliano a lunghi silos e sono ornati all'interno da immagini di santi o di avvenimenti miracolosi come fossero cappelle. I ponti fantastici della Turchia, poggiati lì per caso, custoditi e protetti dal destino. I ponti di Roma, dell'Italia meridionale, fatti di pietra candida, da cui il tempo ha preso tutto quello che ha potuto e accanto ai quali da cent'anni ne vengono costruiti di nuovi, ma che restano come sentinelle ossificate.
Così, ovunque nel mondo, in qualsiasi posto, il mio pensiero vada e si arresti, trova fedeli e operosi ponti, come eterno e mai soddisfatto desiderio dell'uomo di collegare, pacificare e unire insieme tutto ciò che appare davanti al nostro spirito, ai nostri occhi, ai nostri piedi, perché non ci siano divisioni, contrasti, distacchi... Così anche nei sogni e nel libero gioco della fantasia, ascoltando la musica più bella e più amara che abbia mai sentito, mi appare all'improvviso davanti il ponte di pietra tagliato a metà, mentre le parti spezzate dell'arco interrotto dolorosamente si protendono l'una verso l'altra e con un ultimo sforzo fanno vedere l'unica linea possibile dell'arcata scomparsa. E la fedeltà e l'estrema ostinazione della bellezza, che permette accanto a sé un'unica possibilità: la non esistenza.
E infine, tutto ciò che questa nostra vita esprime - pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, sospiri - tutto tende verso l'altra sponda, come verso una meta, e solo con questa acquista il suo vero senso.
Tutto ci porta a superare qualcosa, a oltrepassare: il disordine, la morte o l'assurdo. Poiché, tutto è passaggio, è un ponte le cui estremità si perdono nell'infinito e al cui confronto tutti i ponti dì questa terra sono solo giocattoli da bambini, pallidi simboli. Mentre la nostra speranza è su quell'altra sponda."
Così scrive lo scrittore jugoslavo Ivo Andrić, l'autore de "Il Ponte sulla Drina".
Scrittore jugoslavo, non bosniaco, serbo, croato. Jugoslavo. Appunto, perché i ponti servono a "collegare, pacificare e unire insieme tutto ciò che appare davanti al nostro spirito, ai nostri occhi, ai nostri piedi, perché non ci siano divisioni, contrasti, distacchi".
"Il Ponte sulla Drina" parla appunto di questo. Situato in Bosnia, vicino al confine con la Serbia, e fatto costruire nel pieno dell'epoca ottomana, per secoli ha unito e ha visto scontrarsi i popoli jugoslavi, e attorno a sé se ne legge tutta la loro storia. Danneggiato durante entrambe le guerre mondiali, e infine restaurato.
Il nome stesso parla di unione. "Ćuprija", simile al turco "Köprü", anziché il più tradizionale serbo/croato "Most".
E infine, teatro dei massacri di Višegrad, durante l'ultima guerra, con centinaia di bosniaci, come i personaggi del libro 200, 400 anni prima, trucidati sul ponte stesso.
O-hej!

3 marzo 2010

Wu Ming, 54 - SF-SN! Smrt fašizmu, sloboda narodu!

Ah un romanzo che inizia con un proclama del Partito Comunista Sloveno nella Jugoslavia in lotta del '43, e prosegue, come prima azione, con la ribellione di alcuni soldati italiani che decidono di unirsi alla Resistenza!
Wu Ming, 54.
Non dovrebbe deludere.

SF-SN! Smrt fašizmu, sloboda narodu!

4 novembre 2009

Živago!

S'è finito di leggere da poco il Dottor Zivago.
Bel libro, abbastanza complesso, ma dà gusto quando in forma circolare alla fine si incrociano di continuo fatti e personaggi, spalmati sull'arco dei decenni.
E soprattutto, c'è la Rivoluzione Russa e la nascita dell'Unione Sovietica, con tutte le sue tragedie, ma che comunque ancora oggi rappresenta una parte importante del mio personale immaginario politico.
Ah. Linus, a proposito dei Fratelli Karamazov, affermava che quando c'era qualche nome russo che non riusciva a pronunciare, si limitava a guardarlo. Il problema in realtà non è tanto sulla pronuncia, ma che i personaggi sono un casino, ognuno con svariati soprannomi e patronimici. La cosa si attenua un po' dalla metà in poi.

30 settembre 2009

Mabinogion

Mabinogion. Belina la mitologia gallese. Piena di teste mozzate animate e di avventurieri che vanno a rubare i maiali, dono agli uomini delle divinità dell'oltretomba.

4 settembre 2009

"...innalzarsi al di sopra di ogni considerazione terrena, partire perscalare da solo la montagna più alta del mondo..."

"Quest'impresa non aveva nulla a che vedere con l'alpinismo, eppure è stata magnifica. Chiamatela folle, chiamatela come volete, ma non c'è anche un elemento di grandezza nel pensiero che questo giovane, infiammato forse dall'idealismo, abbia cercato di realizzare il desiderio di esprimersi, espandere la coscienza, sfuggire alle catene della carne, innalzarsi al di sopra di ogni considerazione terrena, partire per scalare da solo la montagna più alta del mondo...?"
Frank Smythe
 


Si parla di Maurice Wilson, morto di freddo nel 1934 in un coraggioso e avventato tentativo di scalare in solitaria il Monte Everest.
Ed esprime forse il senso più profondo dell'andare in montagna.
[il passo si trova riprodotto in "Alla conquista di Lhasa", di Peter Hopkirk, interessante libro sull'esplorazione del Tibet nella seconda metà dell'800]

  

19 novembre 2008

(l'ennesimo) Angolo della poesia

[che con tutta 'sta poetaggine quasi me ne cieco del blog mio]

Le ultime due strofe di una poesia di Brecht, "A coloro che verranno".

Eppure lo sappiamo:
anche l'odio contro la bassezza
stravolge il viso.
anche l'ira per l'ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si potè essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuta l'ora
che all'uomo un aiuto sia l'uomo,
pensate a noi
con indulgenza.

29 settembre 2008

Pirandelliano

Beh che poi ce stea pure lu romanzo, "l'uomo col buco in bocca" no?

Non proprio così, e il parafrasato non era neanche un romanzo, e Pirandello più che tanto mai preso, ma se l'avesse scritto oggi potevo essere il protagonista.

26 settembre 2008

La Svolta

Quasi vent'anni dopo la Svolta della Bolognina, oggi è arrivata la Svolta della Ternitudine.
Ovverosia ho letto il Libro.
E, tra le altre cose, il racconto "Picchia, pallone e pampepato", e il progetto della "Cartapulta".

2 settembre 2008

L'angolo della poesia

Qui ci signori ci si dà alla poesia latina.
E' da un po' che girava per la testa un epigramma di Marziale, per la precisione il 79esimo dell'ottavo libro. Il soggetto è quella sciacquetta di Fabulla, o anche Flabella, come me ne ricordavo il nome.

Omnes aut vetulas habes amicas
Aut turpes vetulisque foediores.
Has ducis comites trahisque tecum
Per convivia, porticus, theatra.
Sic formosa, Fabulla, sic puella es.


"L'amiche tue so' tutte vecchie, oppure budellacci peggio delle vecchie. E so' queste che te porti dietro con te come compagne ai banchetti, per i portici, a teatro. Per questo, Flabella, si' bella (e giovane, nella traduzione originale ndr)."

13 maggio 2008

Harry Potter

Ieri notte s'è finita finalmente di leggere l'intera saga di Harry Potter.

Belino.

Però tocca di' che questo finale mi pareva migliore.

Rebelot...

27 febbraio 2008

Lo spirito in lui ardeva come fiamma

...fiere e impetuose erano le sue parole, ridondanti di collera e orgoglio...
"Bella sarà la meta, per dura e lunga che sia la strada! Dite addio alla schiavitù! Ma dite addio anche agli agi! Dite addio alla debolezza! Dite addio ai vostri tesori! Altri ne produrremo. Procedete leggeri: ma portate con voi le vostre spade! Perché andremo più lungi di Oromë, sopporterremo più di Tulkas: non faremo ritorno dall'inseguimento. Alla caccia di Morgoth fino ai confini della Terra! Avremo guerra e odio senza fine. Ma quando avremo conquistato e riguadagnato i Silmaril, allora noi, e soltanto noi, saremo i signori della Luce immacolata, padroni della felicità e della bellezza di Arda! Nessun'altra razza ci soppianterà!"
Quindi Fëanor pronunciò un terribile giuramento. I suoi sette figli balzarono pronti al suo fianco, e insieme fecero identica promessa, e rosse come sangue balenarono le loro spade sguainate al lume delle torce. [...]
Fëanor però rise e parlò, non già all'araldo, bensì ai Noldor, con queste parole: " Così, dunque! Quindi, questo valente popolo dovrebbe mandare in esilio null'altri che l'erede del loro Re con i suoi soli figli, ed esso tornare alla sua schiavitù? Se qualcuno vuol venire con me, io gli dico: vi si preannuncia dolore? Ma in Aman l'abbiamo conosciuto. In Aman, dalla beatitudine siamo passati al dolore. Vogliamo dunque tentare l'altra strada: di giungere dal dolore alla gioia; o alla libertà quanto meno."
Quindi, rivolto all'araldo, gridò: "Dì questo, a Manwë Súlimo, Re Supremo di Arda: se Fëanor non può abbattere Morgoth, per lo meno non esita nell'assalirlo, e non se ne sta in preda ad oziose recriminazioni. E può essere che Eru abbia messo in me fuoco maggiore di quanto tu creda. Tanto danno farò quanto meno all'Avversario dei Valar, che persino i possenti che stanno nell'Anello della Sorte resteranno a bocca aperta nell'udirlo. Proprio così, e alla fine essi mi seguiranno. Addio!". In quel momento la voce di Fëanor risuonò così vasta e potente, che persino l'araldo dei Valar si inchinò di fronte a lui come chi sia pienamente soddisfatto della risposta avuta, e se ne andò; e i Noldor ne furono soggiogati. [...]
Fëanor corazzò però il proprio cuore e disse: "Abbiamo fatto un giuramento, e non è poco. Quel giuramento noi lo manterremo. Ci si minacciano molti mali, non da ultimo il tradimento; una cosa però, non ci vien detta: che soffriremo per codardia, per via di codardi o per paura di codardi. Pertanto io dico che proseguiremo, e questo parere soggiungo: le imprese che compiremo saranno materia di canto fino agli ultimi giorni di Arda". [...] ... e rideva forte agitando la spada, rallegrandosi al pensiero di aver sfidato la collera dei Valar e i perigli del cammino, e che era vicina l'ora della sua vendetta. Nulla sapeva di Angband né delle formidabili difese che Morgoth vi aveva in gran fretta apparecchiate; ma, anche se le avesse conosciute, non lo avrebbero distolto, essendo egli forsennato, consumato com'era dalla fiamma della propria ira. [...] E sarebbe perito, non fossero proprio in quella giunti al soccorso con altre forze i suoi figli; e i Balrog lo lasciarono, e rientrarono in Angband. [...] ... Fëanor ordinò loro di fare alto, ché le sue ferite erano mortali ed egli sapeva essere giunta la sua ora. [...] Quindi spirò, ma non ebbe né tomba né sepolcro perché così focoso era il suo spirito che, come se ne staccò, il corpo cadde in cenere e fu spazzato via come fumo; e il suo sembiante non è più riapparso in Arda, né il suo spirito ha lasciato le aule di Mandos. Così finì il più possente dei Noldor, dalle cui gesta vennero sia la loro massima nomea, sia le loro più triste sventure.

John Ronald Ruel Tolkien, Il Silmarillion

A Fëanor Curufinwë, figlio di Finwë Re dei Noldor!

28 gennaio 2008

Tutti al cinematografo; ep. 10

Per una volta non recensisco; mi limito a sponsorizzare l'ottima produzione degli ancor più ottimi Altoforno, in merito e in risposta a un film (?) tratto da un libro (?) attualmente nelle sale.

6 gennaio 2008

Perché Valerio Evangelisti è un autore superiore

Anzitutto, ben ritrovati e buon anno.
Ancora una volta, pur rendendosi conto di come il tema possa essere considerato piuttosto veltroniano, si vuole parlare di cultura (anzi famo Cultura con la C maiuscola va'), e come si deduce dal titolo dimostreremo appunto con pochi mirati assunti il perché Valerio Evangelisti sia un autore superiore.
Già uno che ti inizia un romanzo con un infiltrato a una riunione di una loggia del Ku Klux Klan degli anni '50, per poi proseguire nelle paludi della Louisiana devastate da un orrido morbo che fa esplodere i vasi sanguigni guadagna un bel + 5000. Dopodiché, si apprezzino tali battute:
" - Bruciamo catari in continuazione e altri prendono il loro posto. - Forse non ne bruciate abbastanza - fece Eymerich, gelido."
" - Può darsi, padre Jacinto, che il branco cui apparteneva questo maialino che stiamo per mangiare odiasse gli uomini e desiderasse morderli. Scommetto però che la loro intenzione è scomparsa quando hanno visto che il loro congiunto veniva ucciso e bruciato. [...] - Ma se i maialini sono troppi, non li si può bruciare tutti. - Oh, non occorre bruciarli tutti. Basta bruciarne qualcuno, e se non bastasse, qualche altro ancora. Prima o poi, ai maialini superstiti passerebbe la voglia di tirare tintura."
" - L'idea di libertà deve sparire dalle coscienze. Finché non ci saremo riusciti, non dovremo curarci del sangue che saremo costretti a versare. I corpi contano poco, se c'è in palio la salvezza delle anime."

[ci si riferisce, nello specifico, al romanzo "Il corpo e il sangue di Eymerich", di Valerio Evangelisti]